Se accettiamo di considerare il nostro "io" più profondo come un'entità unica che
            è sempre la stessa per tutti gli esseri che manifestano un comportamento vitale,
            allora possiamo renderci conto di quanto la visione del mondo si semplifichi in
            modo decisivo. Tutto ciò che dobbiamo assumere come esistente è un solo "io" sperimentatore,
            e un insieme potenzialmente infinito di condizioni sperimentabili, rappresentato
            dalle infinite vite che possono essere vissute, e le infinite circostanze esterne
            che possono influenzarle. Questa contrapposizione tra "io" e "insieme delle infinite
            esperienze" potrebbe essere interpretata come un dualismo che può infastidire i
            puristi. Per arrivare a una visione monista, occorre superare anche la contraddizione
            tra noi e la realtà fisica esterna, che svolge il ruolo di supporto comune che permette
            la nostra interazione. Per riuscirci, è necessario essere disposti a considerare
            anche quella come uno stato particolare del nostro stesso "io" condiviso, anche
            se non è detto che a questo particolare stato possa essere associata una "consapevolezza"
            simile a quella delle nostre vite. In questo modo, potremmo concludere che il dualismo
            sia solo apparente, in quanto si risolve inevitabilmente in una interazione tra
            aspetti diversi dell'unico "io" esistente.
        
            Tuttavia la distinzione tra queste due interpretazioni non ha conseguenze sul piano pratico. Se due soluzioni
            alternative ad un problema "funzionano" in modo uguale, nel senso che hanno la stessa
            "efficacia pratica", allora questo potrebbe essere un indizio che stiamo tentando
            di applicare al problema una caratterizzazione che esso non ha. A volte una distinzione
            può rivelarsi possibile, e dunque una soluzione può infine prevalere sull'altra:
            ma se un problema, per i termini in cui è posto, non offre alcuna possibilità di
            distinguere due spiegazioni diverse, non ha senso discutere quale interpretazione
            sia più corretta: piuttosto, dobbiamo riconoscere che il problema non si presta
            ad essere discusso su quell'aspetto specifico, e risparmieremmo tempo ed energia
            se decidessimo di considerarlo un "problema improponibile". Questa
            considerazione è utile anche per affrontare il problema della "sequenza"
            delle nostre vite. Se pensiamo che, esprimendoci nei termini abitualmente usati per
            la reincarnazione, la nostra "anima comune" si reincarna in ognuna delle nostre
            vite, sorge inevitabile la domanda: quale vita mi toccherà vivere "dopo" quella
            attuale? Quella di mio figlio? Quella di mio fratello? Quella di uno sconosciuto
            magari di un'altra epoca o addirittura di un'altro mondo, la cui vita rappresenti
            il "premio ideale" per la condotta che ho tenuto in questa mia vita attuale? A scopo
            puramente speculativo, ho immaginato che una possibile sequenza potrebbe essere
            generata seguendo queste due regole: la vita successiva di ogni madre, è quella
            del suo primo figlio o figlia; la vita successiva di ogni uomo e di ogni donna che
            non ha figli, è quella del fratello o sorella immediatamente minore oppure, se non
            ne ha, del primo fratello minore esistente tornando su nella gerarchia delle madri.
        
            In effetti il problema della "sequenza" ammette tutte le soluzioni che si possono
            immaginare, ma
            non ha alcuna speranza di essere risolto in modo ragionevole, ed
            è una fortuna, altrimenti gli sciocchi potrebbero discriminare le vite già vissute
            in favore di quelle "ancora da vivere". Ma uno dei punti basilari della terza ipotesi è che l'"io" che sperimenta le
            vite non sia associato ad alcuna informazione intrinseca: egli è solo il soggetto
            dell'esperienza della vita, ed ogni altra sua caratteristica deriva dalle condizioni
            contingenti che sperimenta: le informazioni risiedono unicamente nel mondo fisico.
            Anche se interpretiamo il mondo fisico stesso come uno stato particolare di esistenza
            del nostro unico "io", possiamo riformulare la stessa condizione in questo modo:
            il flusso delle informazioni risiede esclusivamente nello stato dell'"io" che corrisponde
            al mondo fisico, e questo flusso è soggetto alle condizioni particolari che lo caratterizzano:
            il limite invalicabile della velocità della luce, l'indeterminazione quantistica,
            il secondo principio della termodinamica, per citarne alcune che sicuramente influenzano qualsiasi
            tipo di "informazione".
            In ogni caso, qualunque fosse l'ipotetico "percorso" seguito dall'"io" tra una vita
            e l'altra, esso non potrebbe modificare il flusso di informazione che scorre
            nel mondo fisico: in altre parole, l'informazione di quale possa essere questo percorso
            non può essere registrata in alcun modo, e dunque il problema non può essere risolto; ciò dovrebbe allora farci capire che il problema
            della sequenza delle nostre vite non ha significato, malgrado la nostra curiosità: è un altro esempio
            di "problema improponibile".
        
            Ragionando in termini di "sequenza delle vite", può sembrare che vivendo una vita
            che interagisce con quella precedente, dovrei essere costretto a comportarmi nella
            seconda vita in modo conforme a quanto ho già sperimentato vivendo la prima vita.
            Ma anche se le scelte che compio nella seconda vita sono in grado di influenzare
            ciò che ho sperimentato nella prima vita, e le scelte compiute dopo aver subito
            quella influenza, resterebbe comunque impossibile comunicare alla seconda vita qualsiasi
            informazione proveniente dal "futuro" della prima vita. È il nostro concetto di
            "vite successive" a trarci in inganno. Se immaginiamo uno scrittore che scrive un'immaginaria
            "storia completa di tutte le relazioni tra gli esseri viventi dalla nascita del
            primo alla morte dell'ultimo", non abbiamo difficoltà a concepire come egli possa
            esprimere il suo "libero arbitrio" in ogni dialogo tra due o più personaggi che
            dovesse riportare. Il fatto che questa creatività si esprima divisa in "esperienze
            di vita successive", ci fa perdere di vista che in ogni caso, egli è il responsabile
            di ogni singola scelta che i personaggi della sua storia compiono; per ogni scelta,
            c'è sempre un singolo evento di decisione, e le conseguenze di ogni decisione si
            propagano solo "avanti" nel tempo comune a tutti.
        
            In alternativa alla "sequenza", possiamo anche adottare una concezione di "simultaneità
            atemporale", che potrebbe apparire meno problematica, a condizione che
            non si creda che in qualche modo possa "evitarmi" di fare esperienza delle vite
            che vedo svolgersi in concorrenza con la mia. Considero la scelta di questa definizione una questione
            di gusti personali, ma la sostanza non cambia: in ogni modo, nel modello che propongo, ogni vita è completamente isolata dalle
            cosiddette "vite precedenti" e "vite seguenti": tutte le informazioni che abbiamo
            sono quelle che ci vengono dal mondo esterno, nello stato in cui è mentre lo sperimentiamo, che non possono essere influenzate durante
            il "passaggio" da una vita all'altra, e non possono "seguirci" in alcun modo. Per capire meglio, consideriamo un esempio cosmologico: alcuni
            modelli di universo prevedono che tanti universi possano esistere “contemporaneamente”
            rinchiusi in “bolle
                inflative” che non possono scambiare informazioni tra loro. Altri modelli
            ipotizzano che il nostro universo possa finire con un “big crunch” simmetrico al
            “big bang” dal quale è iniziato, e che possa quindi rigenerarsi in infiniti cicli
            “successivi”, attraverso infiniti “rimbalzi” o “big
                bounce”, dove l’universo di ogni ciclo non potrebbe conservare alcuna traccia
            di quello del ciclo precedente. Alcuni hanno addirittura ipotizzato che potremmo
            essere parte di un mondo simulato in computer esistenti in una realtà di livello
            superiore al nostro. Poiché in ognuno di questi modelli si prevede un isolamento
            delle informazioni, non potremmo mai trovare una differenza tra un universo che
            potrebbe essere esistito “prima” del nostro, e uno che potrebbe esistere “dopo”
            il nostro, oppure “accanto” al nostro, “lontano” dal nostro, o “al di sopra” del
            nostro; sono tutti ugualmente “irraggiungibili”, e poiché in questo caso la qualifica
            di “irraggiungibile” non dipende da ostacoli tecnici, ma da limiti assoluti, non
            si può neanche concepire una distinzione tra universi “meno irraggiungibili” e altri
            “più irraggiungibili”.
        
            Così, non dovremmo sforzarci di concepire per forza l’insieme di tutte le possibili esperienze
            di vita che possiamo sperimentare come un insieme che possa essere ordinato secondo
            qualche criterio. L’unico vincolo da adottare è quello che corrisponde al rifiuto
            del solipsismo, per cui la consistenza della realtà viene definita con la corrispondenza
            delle esperienze sperimentate durante ogni vita che abbia un’interazione con le
            altre. Questo significa che dal caotico insieme di “tutte le vite possibili”, dove
            non ci è preclusa alcuna esperienza, possa essere estratto di volta in volta, per
            ogni universo che permette la vita, un sottoinsieme di vite che in esso si svolgono
            interagendo tra loro, e che dovranno essere sperimentate come un “lotto indivisibile”.
            Questo mi garantisce che ad ogni buona o cattiva azione che commetterò, corrisponde
            esattamente una buona o cattiva azione che mi sarà fatta.
        
            Il fatto di dover sperimentare ogni singola vita che incontriamo, implica anche che il destino della nostra vita attuale non possa dipendere
            esclusivamente dal nostro comportamento nella "vita precedente", e quindi che non
            esista un karma individuale che ognuno porta come un fardello. Mi pare che molti
            rinuncino malvolentieri a questa idea, perché vorremmo ricevere un riconoscimento
            dei nostri meriti, sia pure accettando di espiare anche le nostre colpe.
            Però, riflettendoci meglio, possiamo renderci conto che le nostre
            condizioni di vita attuali dipendono da tutte le opere di coloro che sono vissuti
            prima di noi, come le nostre opere influenzeranno le condizioni di vita di tutti
            coloro che nasceranno dopo di noi: e allora, anche senza l'esistenza di un karma
            individuale, possiamo capire come il mondo fisico stesso, che lega tra loro tutte
            le azioni di tutte le nostre vite, può rappresentare in modo ideale il nostro comune
            "karma condiviso", che il nostro stesso "io" condiviso continua a modificare in meglio o in peggio, mentre sperimenta
            ogni nostra singola vita.
        
            Continua sulla prossima pagina: "Compatibilità tecniche".