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papo La terza ipotesi
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Riduzione all'Open Individualism

Come arrivare ad una nuova versione di monopsichismo ragionando in modo riduzionista

di Iacopo Vettori - Dicembre 2017

Elenco dei problemi risolti o semplificati

83. Durante tutta questa discussione, abbiamo avuto l’opportunità di esaminare diversi problemi collegati all’identità personale, non solo quelli relativi alla sua origine e la sua persistenza, ma anche i problemi relativi al teletrasporto, la replica perfetta, la scissione e l’unione. Vedremo ora altri problemi collegati all’identità personale, e potremo constatare come l’Open Individualism sia in grado di risolvere molti di essi, e di offrirci una visione diversa da dove altri problemi appaiono semplificati. Questi problemi comprendono l’Assunzione di Auto-Campionamento (Self-Sampling Assumption) collegata allo sconcertante Argomento del Giorno del Giudizio (Doomsday Argument) ed altri paradossi, la possibilità di utilizzare la fusione delle menti per evitare la discontinuità della morte, la gestione dei rischi e i problemi etici relativi alla costruzione di macchine pensanti, i problemi relativi al libero arbitrio, ed anche il superamento della contrapposizione tra dualismo e riduzionismo. Penso che riconoscere quanto facilmente l’Open Individualism possa risolvere questi problemi, costituisca di per sé un suggerimento concreto che esso rappresenti la migliore teoria sull’identità personale, e dovrebbe convincere anche i più scettici che esso meriti un’attenzione non superficiale. Sono convinto che una volta riconosciuti questi vantaggi, le prossime teorie sull’identità personale non possano essere che dei raffinamenti di questa idea di base. Questa teoria è qui per rimanere.

84. L’Open Individualism gestisce in modo semplice i paradossi relativi all’Assunzione di Auto-Campionamento (Self-Sampling Assumption), come ad esempio l’Argomento del Giorno del Giudizio (the Doomsday Argument). L’assunzione di Auto-Campionamento afferma che ogni osservatore dovrebbe ragionare come se fosse stato selezionato a caso dall’insieme di tutti i possibili osservatori. L’Argomento del Giorno del Giudizio è un ragionamento probabilistico che mostra come sia possibile predire il numero dei membri futuri della specie umana a partire unicamente dalla stima del numero totale di esseri umani nati finora. Il ragionamento alla base di questo argomento è che, supponendo che tutti gli esseri umani nascano in un ordine casuale, ci sono buone probabilità che un essere umano qualsiasi sia nato più o meno a metà di tutto l’insieme dei nati passati e futuri. Se penso di avere un’unica occasione di nascere (cosa che l’Open Individualism nega), posso valutare il numero totale degli esseri umani passati e futuri solo sulla base della mia posizione nell’insieme. La conclusione, dopo i debiti calcoli, è che esiste una probabilità del 95% che entro i prossimi 9.120 anni si verifichi un’estinzione di massa di tutti gli esseri umani (https://en.wikipedia.org/wiki/Doomsday_argument). Questo però non è valido se accettiamo l’ipotesi dell’Open Individualism. Si può vedere bene che in questo caso non posso pensare di essere stato selezionato casualmente: sono sempre selezionato ad ogni nascita, e quindi la mia posizione rappresenta il progresso della specie umana in questo mondo, ma non può essere usata per stimare il numero totale delle nascite future. Per afferrare il ragionamento alla base dell’Argomento del Giorno del Giudizio, immaginate di avere due urne, la prima contenente dieci palline etichettate con dieci nomi diversi, uno dei quali è il vostro, e l’altra contenente 1000 palline, etichettate con 1000 nomi diversi, uno dei quali è il vostro. Se selezioniamo a caso una delle urne, abbiamo una probabilità del 50% di selezionare la prima urna. Ma se iniziamo a pescare delle palline a caso dall’urna selezionata, e troviamo che il vostro nome viene estratto in una delle prime dieci estrazioni, allora la probabilità di avere scelto l’urna con sole 10 palline non è più del 50%, ma è diventata del 99%. Da questo esempio si può capire perché conoscere la nostra posizione nella sequenza delle estrazioni può permetterci una stima probabilistica sul numero totale delle estrazioni ancora da fare. Ma se tutte le palline contenute nelle due urne sono etichettate con il vostro nome, ecco che diventa impossibile fare una predizione anche dopo aver pescato una pallina con il vostro nome alla prima estrazione. Anche dopo aver pescato dieci palline etichettate con il vostro nome, la probabilità di avere scelto l’urna con 10 palline o quella con 1000 palline resta del 50%. Per uscire dal dubbio, è necessario verificare se è possibile pescare l’undicesima pallina. Questo è esattamente il caso che si presenta con l’Open Individualism, che permette di vanificare il ragionamento alla base dell’Argomento del Giorno del Giudizio, come tanti altri apparenti paradossi basati sull’Assunzione di Auto-Campionamento, che è possibile trovare descritti nel libro di Nick Bostrom Anthropic Bias: Observation Selection Effects in Science and Philosophy (2002). Il libro è disponibile gratuitamente in formato pdf sul sito personale di Nick Bostrom: http://www.anthropic-principle.com/sites/anthropic-principle.com/files/pdfs/anthropicbias.pdf. Nota: nel mio dialogo email con Arnold Zuboff, mi ha riferito di un suo contatto con Nick Bostrom che ha criticato una parte del suo ragionamento, che a mio parere non è fondamentale, quando si considerano gli altri argomenti qui esposti, senza però commentare il punto più importante. Spero che anche Nick Bostrom possa constatare come quest’idea offra una soluzione a molti dei problemi da lui proposti.

85. Attualmente, l’evento più probabile che potrebbe spingere l’umanità a una consapevolezza globale dell’Open Individualism, sarebbe la realizzazione tecnica di un dispositivo capace di connettere più cervelli in modo che essi possano cooperare per formare una mente singola. Penso che un’esperienza del genere darebbe a tutti i partecipanti la consapevolezza di diventare davvero un’unica mente, in uno stato mentale che potremmo chiamare “lo stato unificato” in cui sarebbe impossibile determinare di quale cervello sia proprietario ogni partecipante connesso alla singola “mente unificata”. In un tale stato, la mente unificata potrebbe accedere indistintamente ai ricordi di ogni cervello connesso. Una volta disconnessi, ogni partecipante potrebbe avere un ricordo di ciò che è stato pensato nello stato unificato, ma la sua mente sarebbe di nuovo limitata all’accesso del suo cervello individuale. Immagino che alcuni dei partecipanti si renderebbero conto che una simile esperienza sarebbe rivelatrice del fatto che siamo veramente “la stessa persona” di ogni altro partecipante quando siamo connessi, e quindi è possibile concludere che questo sia vero, nello stesso senso inteso dall’Open Individualism, anche quando nessuno sperimenta uno stato di mente unificata. Immagino che altre persone argomenterebbero che questa sia solo un’illusione dovuta alla condivisione dei ricordi nello stato unificato. Altri ancora potrebbero chiedersi se una tale esperienza non abbia confuso tra loro le menti di tutti i partecipanti, di modo che sia possibile dubitare che la loro mente sia davvero associata allo stesso cervello a cui era associata prima della connessione. Questo sarebbe negato dai riduzionisti, per i quali non ci può essere nulla che possa essere scambiato di posto in un esperimento simile. Se un tale esperimento verrà mai eseguito, è importante che i partecipanti conoscano la teoria dell’Open Individualism, in modo che possano interpretare correttamente le loro esperienza. Quello che realmente accadrebbe in un tale esperimento di connessione è che il tempo soggettivo associato con ogni flusso di coscienza convergerebbe a formare un solo tempo soggettivo, e più tardi, quando i cervelli dei partecipanti fossero disconnessi, si genererebbero di nuovo tanti tempi soggettivi differenti.

86. Poiché l’Open Individualism richiede che si riconsideri il nostro nativo concetto del tempo, siamo naturalmente portati a cercare di immaginare cosa potrà accaderci “dopo la nostra morte”. È molto difficile accettare il fatto che questa sia una “questione vuota”. L’Open Individualism ci richiede di adottare un punto di vista eternalista in cui il mondo, o tutti i mondi possibili, esistono insieme senza alcun “tempo assoluto”. Il tempo come noi lo sperimentiamo è sempre un tempo soggettivo che rappresenta il flusso del fenomeno della soggettività lungo un percorso nello spaziotempo statico. La morte non è che il punto terminale di uno di questi percorsi. Non esiste un “tempo successivo”: esiste solo la fine del tempo soggettivo creato dallo scorrere lungo il percorso. Nelle immediate vicinanze di quel punto terminale, non esiste una continuazione percorribile per quel particolare tempo soggettivo, che semplicemente cessa di essere percepito dal fenomeno della soggettività.

87. Ma supponiamo che il cervello di una persona prossima alla morte sia connesso con quello di altre persone. La mente unificata non cesserebbe di esistere alla morte di una delle persone connesse. Il fenomeno della soggettività continuerebbe a scorrere nel percorso comune per mezzo degli altri cervelli connessi. Soggettivamente, nessuno sperimenterebbe alcuna morte. Una volta che tutti fossero disconnessi, il tempo soggettivo della mente unificata si dividerebbe soltanto in (n – 1) tempi soggettivi separati. Questo corrisponderebbe all’esperienza di avere un incidente in cui una parte del nostro cervello cessasse di funzionare. Sarebbe certamente un’esperienza spiacevole e potrebbe portare a una perdita di capacità e di ricordi, ma non sarebbe una cosa tragica come la morte. Una cosa simile accadrebbe se potessimo connettere il nostro cervello con quello di altre persone, formando una mente unificata, al momento della morte del nostro corpo individuale. Anche questa sarebbe un’esperienza spiacevole e potrebbe comportare una perdita di capacità e di memorie, ma non sarebbe una vera morte. In realtà, rappresenterebbe per noi l’unico modo efficace di evitare la morte.

88. Questa soluzione sarebbe più pratica ed efficace se noi potessimo costruire dei cervelli artificiali, ossia delle vere macchine pensanti. Sembrerebbe impossibile creare davvero delle macchine con una vera coscienza, ma in ultima analisi anche il nostro corpo può essere considerato una macchina molto sofisticata, per cui penso che un giorno anche questo sarà possibile. Un vero cervello artificiale dovrà essere in grado di generare il fenomeno della soggettività, con la creazione di un tempo soggettivo. Io non penso che questo possa essere realizzato usando solo una simulazione software, credo che richiederà un hardware speciale, e che il supporto per una vera mente dovrà necessariamente essere rappresentato da qualche dispositivo fisico che sfrutti qualche proprietà particolare del mondo fisico, forse la correlazione quantistica. Questo implica l’impossibilità di vivere in un mondo simulato, o per lo meno, simulato solo a livello software, come alcuni autori hanno suggerito. Ad ogni modo, per tutte le ragioni esposte, il fenomeno della soggettività sarà sempre lo stesso, in qualsiasi condizione venga generato, e così deve essere ad ogni livello di realtà, così come deve essere sempre lo stesso anche attraverso tutti i possibili universi che possano ospitare la vita. Una volta che una macchina cosciente fosse costruita, sarebbe possibile connettere il nostro cervello biologico con quella, in modo da formare una mente unificata. Sarà possibile anche creare una grande macchina pensante allo scopo di usarla per connettere tra loro i nostri cervelli, mantenendo però una centrale sempre attiva anche se non ci fossero altri individui connessi. Questa potrebbe rappresentare l’evoluzione definitiva di ciò che oggi è per noi a Internet. In questo scenario, quando un individuo fosse prossimo a morire, per evitare la discontinuità della coscienza alla fine del suo percorso individuale, dovrebbe solo connettersi ad un cervello artificiale per attendere la morte del suo corpo originale. Potrebbe addirittura accadere che la morte possa essere provocata direttamente dalla macchina, una volta che la mente individuale si fosse connessa a formare la mente unificata. Per quanto possa sembrare impietoso, questo potrebbe servire a prevenire sia l’agonia che l’eventualità che la morte possa avvenire successivamente, in uno stato di mente disconnessa. Come nota finale a questo argomento, aggiungo che molto probabilmente la stessa tecnologia che ci porterà a produrre macchine pensanti potrebbe permetterci, probabilmente già in uno stadio intermedio, di produrre espansioni artificiali per il nostro cervello biologico, capaci di migliorare le nostre capacità mentali. Questo ci renderà intelligenti esattamente quanto una macchina cosciente potrà mai essere, anche senza considerare la possibilità di connessione con altri cervelli. Per questo motivo, e a maggior ragione se si considera anche la possibilità della connessione, non penso che le macchine intelligenti possano mai diventare malevole con gli esseri umani, come oggi molti autori dichiarano di temere. Tutte le entità coscienti devono essere considerate come il supporto hardware del fenomeno della soggettività, ed una volta che questa consapevolezza sarà diffusa, sarà cura di ognuno far sì che tutti i partecipanti possano vivere al meglio questa nostra comune condizione. In realtà, penso che i peggiori pericoli per l’umanità, lasciando da parte condizioni esterne come qualche catastrofico evento cosmico, siano rappresentati dalla nostra incapacità di evitare i disastri sociali provenienti da fenomeni già in atto come il circolo vizioso della speculazione nei mercati finanziari e le guerre per il controllo delle risorse economiche, che per tutelare i vantaggi di una minoranza, comportano sprechi di risorse e generano lutti che colpiscono interi popoli, fomentando l’odio sociale. Questi pericoli sono implicitamente collegati all’assunzione, purtroppo quasi universalmente adottata, che ognuno abbia una sua propria, separata, identità personale. Daniel Kolak l’ha chiamata teoria della “Individualità Chiusa” (“Closed Individualism”), e purtroppo adottando questa concezione può accadere che ciò che rappresenta una perdita per la collettività sia apparentemente vantaggioso per un singolo individuo, o per una ristretta cerchia di privilegiati.

89. Riguardo al libero arbitrio, il racconto di Jorge Luis Borges “La biblioteca di Babele” mi ha suggerito un modo per dimostrare la corrispondenza concettuale tra un modello di mondo in cui ogni singolo evento non è definito in modo deterministico a livello quantistico, lasciando così spazio a un fattore casuale che potrebbe rappresentare una possibilità per esercitare un genuino libero arbitrio, e modello di mondo in cui ogni singolo evento è definito in modo deterministico anche a livello quantistico, grazie a delle variabili nascoste o all’onda pilota proposta dall’interpretazione di Bohm. Il concetto chiave è che il secondo modello non elimina del tutto un fattore casuale, ma lo sposta all’inizio dell’universo, applicando in pratica una sola scelta unificata che determina precisamente tutte le condizioni iniziali da cui scaturisce il Big Bang. L’equivalenza è resa evidente ragionando sui modi alternativi di scegliere un libro dalla biblioteca di Babele. Nel racconto di Borges, si immagina che in questa biblioteca siano conservati tutti i possibili libri che possano mai essere scritti. Il racconto originale prevede che ogni libro abbia un certo numero di pagine e un certo numero di caratteri per pagina, scelti da un alfabeto fisso. Date queste condizioni iniziali, è possibile calcolare tutte le possibili combinazioni di caratteri che possono riempire un intero libro. Il numero di volumi risultanti sarebbe astronomico, ma da qualche parte, in questa libreria, si potrebbe trovare qualsiasi libro che possa mai essere scritto. Ragionando su come è stata concepita, si può capire che scegliere un libro a caso in tutta la libreria di Babele è perfettamente equivalente allo scegliere a caso ogni singolo carattere fino a ottenere una sequenza abbastanza lunga da riempire un libro. La conclusione è che scegliere tutte insieme in una volta sola un gran numero di condizioni non è diverso, come risultato concreto, dallo scegliere le condizioni una per una, ognuna al momento in cui la scelta sia effettivamente necessaria.

90. Il problema di capire se almeno alcune di queste scelte siano fatte, anziché dal puro caso, dalla libera decisione di qualche soggetto consapevole è semplificato una volta che l’identità del soggetto sia eliminata, come l’Open Individualism ci consente di fare. In questo modo, una volta che il soggetto che può compiere le scelte sia ridotto al fenomeno della soggettività, sia che si pensi che tutte le scelte possibili siano determinate dalle condizioni iniziali dell’universo sia che si pensi che siano distribuite in una moltitudine di eventi successivi in un mondo non deterministico, è possibile considerare queste scelte, unificate o distribuite, in due modi diversi: Se pensiamo che il libero arbitrio esista, allora pensiamo che almeno alcuni eventi di scelta siano originati da una genuina decisione soggettiva, ed in questo caso il fatto che il soggetto sia stato ridotto ad uno, ci permette di attribuire ad esso tutte le decisioni di tutti gli esseri viventi. In questo caso tuttavia, se pensiamo ad un mondo deterministico con un solo evento iniziale di scelta molteplice, possiamo essere scettici sull’influenza del fenomeno della soggettività nella decisione di tutti i parametri iniziali del Big Bang. Il libero arbitrio si tradurrebbe nella possibilità che alcune combinazioni di condizioni iniziali risultino più probabili di altre che però, dal punto di vista meramente fisico, dovrebbero risultare ugualmente probabili. Se immaginiamo il lettore della Biblioteca di Babele che ha la possibilità di scegliere quali libri leggere, si capisce che anche se non può decidere quali libri esistano, può sempre decidere di leggere con maggiore frequenza i libri che preferisce, esprimendo così il proprio libero arbitrio. Questo presuppone un suo giudizio ancora prima di iniziare a leggere un libro. Se invece si immaginano il caso di più scelte distribuite, è più facile immaginare che il lettore, durante la sua lettura, abbia la facoltà di sostituire il libro che sta leggendo con un altro identico fino a quel punto, ma che continua in un modo per lui preferibile. Questo è più accettabile in quanto il lettore fa la sua scelta quando sta già svolgendo un ruolo attivo come lettore, mentre nel primo caso la scelta dovrebbe avvenire prima ancora di iniziare a leggere. In ogni caso, il dilemma se queste scelte, unificate o distribuite, debbano essere tutte attribuite a un caso insondabile o che almeno alcune siano attribuibili a una volontà effettiva è meno stringente, una volta che il possibile soggetto sia ridotto ad uno solo. Infatti, se assumiamo che il mondo non sia determinista, significa che non possiamo predire se un cervello in un determinato stato A nel prossimo istante assumerà lo stato B oppure lo stato C, quando entrambi gli stati B e C sono risultati accettabili. Se ipotizziamo che esistono molti soggetti diversi e che il risultato non è deterministico, allora la differenza nelle scelte potrebbe dipendere dell’identità del soggetto. Ognuno potrebbe avere differenti probabilità di scegliere lo stato B o lo stato C, se non ci sono condizioni fisiche che obbligano una scelta. Queste differenze di scelta sarebbero una conseguenza delle differenti identità dei soggetti. Ma se riduciamo ad uno solo il soggetto possibile, ciascun risultato B o C avrà sempre le stesse probabilità di essere generato a partire dallo stato A. Se ripetessimo lo stesso esperimento molte volte, ad esempio producendo artificialmente un cervello nello stato A, non sarà mai possibile prevedere con sicurezza il risultato di ogni test, ma sarà possibile prevedere che, ad esempio, la frequenza di B risulterà mediamente il doppio della frequenza di C. Questo rende impossibile determinare se delle ipotetiche regole probabilistiche associate al mutamento degli stati cerebrali possano essere attribuite a qualcosa che influenza la natura del singolo soggetto in esame, o a qualcosa che esprime la natura del soggetto in esame. Sarebbe in pratica impossibile stabilire se il soggetto esercita un effettivo libero arbitrio o se si comporta conformemente a delle regole prefissate che riguardano il fenomeno della soggettività ma che comunque non possono essere dedotte dalle leggi fisiche. Anche questa diventerebbe una “questione vuota”.

91. Ogni storia possibile ha una sua probabilità di diventare reale. Tornando alla libreria di Babele, possiamo immaginare che una volta che siano state eliminate tutti i libri che non hanno senso o che descrivano storie impossibili per qualche ragione fisica, potremmo raggruppare i rimanenti in differenti raccolte di libri. Immaginiamo che ogni libro che racconta una storia dal punto di vista in prima persona sia associato ad altri libri che raccontano una storia uguale ma vissuta da un altro punto di vista. È chiaro che questo raggruppamento non è precisamente definito, due storie compatibili con una terza storia potrebbero non essere compatibili tra loro, a causa dei dettagli differenti che ogni volta si aggiungono. Ma trascurando queste complicazioni, potremmo immaginare di ottenere una raccolta di libri che rappresenti tutte le vite raccontate in prima persona di tutti gli esseri viventi in uno dei possibili universi. Una di queste raccolte rappresenterà la storia del nostro universo come sperimentata da tutte le creature che vi hanno mai vissuto nel passato o ci vivranno in futuro. Ma potrebbero ugualmente esistere molte variazioni di questa raccolta, magari un altro insieme di libri che racconta storie uguali alle nostre fino ad ora, ma che inizierà a raccontare storie sempre maggiormente diverse dalle nostre da ora in poi, basandosi magari su una piccola differenza di comportamento che potreste fare adesso nella vostra vita privata. Se abbiamo un genuino libero arbitrio, ogni nostra piccola scelta influenzerà l’insieme di storie che possono essere possibili da ora in poi. Anche se non riusciremo mai ad escludere del tutto tutti i possibili futuri spiacevoli, potremmo almeno escludere una loro piccola frazione. Questo significa che la cosa più ragionevole da fare sia cercare di comportarci al meglio per tutti noi e per ogni altra futura persona, essendo consapevoli che si tratta sempre di diverse versioni di noi stessi. Si potrebbe pensare che anche avendo il libero arbitrio non si possa cambiare il fatto che, tra tutte le possibili vite di tutti i possibili mondi, saranno sempre presenti dei cattivi sentieri che per forza, presto o tardi, dovranno essere percorsi. Cosa significa in questo caso avere il libero arbitrio? La mia risposta è che esso possa influenzare la frequenza delle storie che determiniamo con le nostre scelte. Questo implica che ogni storia possa essere vissuta più di una volta, e che il totale di storie possibili siano un numero finito. Ma questa è un’idea che molti potrebbero rifiutare di accettare.

92. La versione in DVD della libreria di Babele rappresenta l’insieme di tutti i possibili film che possono mai essere registrati in un DVD. Anche qui potremmo pensare che il loro numero sia infinito, ma se si considera che ciascun film registrato su un DVD può avere una dimensione di 4 o al massimo 8 gigabyte, dobbiamo riconoscere che anche tutte le possibili combinazioni di questi byte sono finite, sebbene il loro numero sia così grande che non potrebbe essere scritto per esteso in forma decimale in una vita intera. Se vogliamo immaginare un numero totale di film ancora maggiore, dobbiamo incrementare la risoluzione del formato audio e video utilizzata per memorizzarli, o considerare film di durata maggiore. Riguardo alla risoluzione, abbiamo però un limite hardware dato dalla possibile acutezza dei nostri sensi naturali, e quindi una risoluzione troppo alta diventerebbe inutile. Riguardo alla lunghezza, possiamo considerare che ogni DVD di lunghezza doppia potrebbe essere ottenuto scegliendo accuratamente due DVD dalla collezione già esistente che rappresenterebbero “la prima parte” e “la seconda parte”. Così dobbiamo concludere che in realtà non abbiamo bisogno di un insieme infinito di vite diverse, perché alcune inizierebbero a somigliarsi al punto da non poterle distinguere tra loro. Questo ci permette di escludere l’infinito dal nostro ragionamento, e di concludere che abbia senso pensare che, se il libero arbitrio esiste, allora il mio comportamento in una data situazione influenzerà la probabilità dei suoi possibili esiti nel momento in cui mi trovassi a rivivere la stessa situazione da un diverso punto di vista. Personalmente, sono incline a pensare che il libero arbitrio esista, perché motiverebbe la presenza della coscienza come vantaggio evolutivo. Inoltre, il semplice fatto di credere che esso esista oppure no, è capace di influenzare il nostro comportamento, cosa che mi sembra paradossale. Mi sembra ugualmente paradossale il fatto che se il mondo fosse determinista, dovrebbe in ogni caso essere impredicibile, perché altrimenti la nostra consapevolezza potrebbe influenzare il comportamento che dovremmo avere in base alla predizione. Per questo credo che il libero arbitrio sia intimamente legato alla coscienza, che come abbiamo già discusso, è un fenomeno non predicibile dal punto di vista strettamente fisico. Tuttavia, altrettanto paradossalmente, quando ci troviamo a fare una scelta importante, cerchiamo di basarci valutando i pro e i contro, e ci sentiamo anzi a disagio se non troviamo qualche motivo ragionevole per orientare la nostra scelta. Forse la nostra libertà di scelta è legata alla nostra capacità di ragionamento razionale, invece che istintivo, e magari, alla nostra possibilità di decidere quando smettere di ponderare una questione e di passare all’azione concreta.

93. Infine, l’Open Individualism può aiutarci a eliminare il dibattito tra filosofi riduzionisti e dualisti. Questo è possibile perché dopo aver ridotto l’identità di tutte le menti a una sola, non esiste più alcun bisogno di trovare qualcosa di non materiale che ci permetta di distinguerle tra loro. Per capirne chiaramente il motivo, immaginiamo che ognuno abbia un’anima, e per evidenziare la loro diversa identità, immaginiamo che ogni anima abbia un colore diverso per ogni persona, dove il colore sta a rappresentare tutte le caratteristiche non materiali che potrebbero differenziarle. Immaginiamo ora di ridurre ad uno il numero totale di tutte le anime: questo può essere visualizzato immaginando che ognuno di noi abbia l’anima dello stesso colore, un colore uguale per tutti. Ma a questo punto, è completamente ininfluente immaginare che si tratti di un certo colore o di un altro, e possiamo anche immaginare che il colore sia completamente trasparente. Sparisce completamente la necessità di usare qualsiasi colore. Fuori da questa metafora, una volta che si ammette che la mente non abbia alcuna identità, non c’è più alcuna ragione per immaginare un’entità che integra il mondo fisico per spiegare la complessità della mente e del suo comportamento. Tutte queste complessità, una volta che si riferiscono sempre ad un unico fenomeno, il fenomeno della soggettività, non hanno più ragione di essere interpretate in modo dualistico: possono essere interpretate come regole generali che possiamo considerare inerenti al mondo e al fenomeno della sua percezione dal punto di vista in prima persona. Il fatto che ognuno di noi abbia esperienza del colore rosso nello stesso modo non necessita di essere spiegato appellandosi a qualcosa che riguarda in modo particolare la mia mente e ogni altra mente: può essere interpretato come una regola che riguarda il fenomeno della soggettività, o più direttamente la funzione di soggettività, che è capace di interpretare gli stati cerebrali come stati mentali, generando il tempo soggettivo. Questa generalizzazione del concetto di mente, eliminando il bisogno del concetto di identità, ci permette di trasformare ogni problema soggettivo in un problema oggettivo. Questa è la vera forza dell’Open Individualism, che ne fa il complemento ideale di ogni possibile teoria riduzionista, ed anzi, oserei dire, l’unico possibile completamento definitivo. 

Continua nella prossima pagina "Considerazioni conclusive etiche e pratiche".

 

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