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papo La terza ipotesi
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Considerazioni aperte

"I am he as you are he as you are me and we are all together"
(John Lennon, "I am the walrus")

Questa pagina raccoglie alcune considerazioni successive alla stesura iniziale del sito, per approfondire quelli che risultano essere i punti chiave della discussione e, come tutte le altre pagine, è aperta agli interventi di chiunque sia interessato. Poiché il suo scopo è quello di chiarire gli aspetti più nebulosi della mia esposizione, più delle altre pagine è adatta ad assumere la forma di dialogo o di discussione collettiva. Il mio scopo è tentare di rendere più evidenti i motivi per cui considero la terza ipotesi, o come mi sembra appropriato denominarla, il "neomonopsichismo", come una soluzione inevitabile che si impone sulle alternative in base ad argomenti che non sono facilmente liquidabili come "opinioni soggettive". I miei primi interventi riportano alcuni punti che ho recentemente discusso con il mio professore di filosofia dei tempi del liceo.

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Dopo aver trovato il riferimento al libro "I am You" di Daniel Kolak, mi sono unito ad altre persone interessate a quello che lui ha chiamato "Open Individualism", ed abbiamo fondato un gruppo su Facebook denominato "I Am You - Discussions on Open Individualism", dove ho pubblicato queste note come un riassunto della mia via verso l'Open Individualism. Ho preparato queste note anche in forma di file PDF che può essere scaricato e stampato.

Una esposizione in-progress: discussione strutturata.

 

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05/02/2010 15:16:18iacopoFORUM NEOMONOPSICHISMO - RIFERIMENTI STORICO/FILOSOFICI ED OSSERVAZIONI CONCLUSIVE Ho inizialmente chiamato questa idea "la terza ipotesi" riferendomi al numero di vite che il nostro "io" ha la possibilità di sperimentare: secondo gli atei e i credenti delle tre maggiori religioni occidentali, abbiamo una sola vita (prima ipotesi); secondo le religioni orientali che contemplano la reincarnazione, ognuno di noi può sperimentare più di una vita, ma entro un suo "insieme di vite" disgiunto dagli "insiemi di vite" degli altri (seconda ipotesi). La terza ipotesi è che le vite sperimentabili dal nostro "io" siano non solo infinite, ma siano proprio "tutte", e dunque devo considerare la vita di ogni essere vivente che incontro come una diversa esperienza del mio stesso "io", esattamente come la mia vita attuale. Le proposte filosofiche simili già esistenti sono quasi sempre riconducibili all'idea di unità raggiunta tramite un "UNO" (divino o cosmico) verso cui tutti convergiamo, ma questo disinnesca la vera potenza della terza ipotesi, perché autorizza ciascuno a ritenere di essere una individualità separata dall'UNO, considerando ogni altro essere vivente come una esperienza "separata" di una diversa parte dell'UNO, che dunque non lo riguarda direttamente. Se al contrario si parte dal presupposto che il mio "io" è proprio lo stesso di ogni altro, e che può manifestarsi solo vivendo una normale "vita terrena", l'UNO resta un concetto astratto e inutile, mentre diventa naturale una solidarietà generalizzata con tutti gli esseri viventi. Un dubbio che va superato è che da questa idea possa nascere un ideale politico totalitarista che ossessivamente impone a tutti di dividere tutto con gli altri. Questa sarebbe una politica miope: la ricchezza di ogni individuo risiede proprio nelle sue capacità particolari, e così la ricchezza della società consiste nel dare a tutti la possibilità di coltivare i propri talenti e di soddisfare i propri interessi. Come i genitori saggi amano i figli in modo uguale, ma provvedono ai bisogni di ognuno in modo diverso, considerando la loro età e le loro inclinazioni, così il governo ideale dovrebbe garantire a tutti i cittadini uguali opportunità, ma dividere le risorse disponibili considerando sia i bisogni che le capacità di ciascuno. Questo tipo di società non potrebbe ammettere delle disparità ingiustificate, e soprattutto evidenzierebbe che il potere di governare deve essere giustificato dalle effettive capacità dimostrate. Forse è per questo che nella storia umana l'idea della terza ipotesi non ha mai conosciuto un vero successo. La condivisione di almeno una parte dell'intelletto umano è già ipotizzata da Aristotele, e poi fu ripresa da Averroè e Sigieri di Brabante (XIII sec.), secondo il quale parte dell'anima umana è legata al corpo e quindi è mortale, e parte è immortale, unica e condivisa per tutti gli uomini. Fu Liebniz a denominare "monopsichismo" questa dottrina, e poiché la terza ipotesi può essere interpretata come una sua evoluzione, può a buon diritto essere denominata "neomonopsichismo". Esplicite analogie si trovano anche con le dottrine di tipo panteistico orientali ed occidentali. Adi Shankara (VII sec.), il maggior rappresentante della corrente monista dell'induismo "Advaita Vedanta", paragona l'aria contenuta in una brocca, che non è differente dall'aria esterna, con l'anima individuale, l'"Atman", che nella sua concezione coincide con l'anima universale, il "Brahman". Anche il buddismo riconosce l'unità di tutti gli esseri viventi, anche se nega il concetto di anima, e lega l'individualità al karma, inteso come somma delle conseguenze delle proprie azioni volontarie. Non sono in grado di giudicare se esistano correnti "new age" che possono ritenersi più o meno vicine alla terza ipotesi, ma la mia impressione è che siano generalmente indirizzate verso il modello di "partecipazione all'UNO". Tengo a precisare che la mia proposta non ha caratteristiche mistiche, non introduce riti particolari, non prospetta redenzioni o una salvezza diversa da quella che ci costruiamo da soli con il nostro impegno quotidiano. Nel 1904 il filosofo americano William James propose di superare la divisione tra soggetto e oggetto della conoscenza, identificando la coscienza come un "non ente", corrispondente alla funzione stessa del conoscere, "l'essere consci" (che corrisponde a ciò che ho chiamato "io-ità", anche se James non afferma esplicitamente che ciò comporti l'identità di tutti i nostri "io"). La sua concezione è denominata "monismo neutrale" in quanto supera la distinzione tra mondo materiale e il mondo mentale considerandoli aspetti di una sola sostanza primigenia. La conoscenza non sarebbe che il rapporto tra queste due parti, ma ogni parte può di volta in volta assumere il ruolo di "conoscitore" o di "conosciuto". Dal punto di vista informatico, la distinzione è analoga quella tra codice eseguibile e dati in elaborazione: si tratta sempre di bit e un programma può manipolare dei dati in modo da produrre un altro programma eseguibile, che una volta in esecuzione, potrebbe considerare come semplici dati anche i bit del programma che l'ha generato. In seguito alla rivoluzione concettuale imposta dalla meccanica quantistica, è stato necessario riconsiderare l'universo adottando una visione "olistica", in cui tutte le parti si influenzano reciprocamente, anche dal punto di vista scientifico. Questo spinse alcuni fisici verso le filosofie panteistiche. Il premio Nobel Erwin Schrödinger pensava che la coscienza fosse "un singolare di cui non si conosce plurale", e che la pluralità fosse solo un'illusione, in sintonia con quanto afferma l'induismo. Il suo punto di vista si allinea con quello che Aldous Huxley descrive nel suo libro "La filosofia perenne", in cui si afferma che tutte le religioni convergono nel considerare gli uomini come parte di un'unica anima universale. Infine, ho recentemente trovato un riferimento al libro "I am You" del prof. Daniel Kolak, che da quanto ho potuto leggere nell'anteprima disponibile, arriva precisamente alle stesse conclusioni della terza ipotesi, per quanto la sua discussione segua dei percorsi differenti da quelli che ho proposto. Inoltre via Internet sono entrato in contatto con diversi studiosi che sono arrivati autonomamente a conclusioni simili, dimostrando che l'idea risponde ad un'esigenza suscitata forse dall'urgenza delle condizioni problematiche del nostro mondo attuale. Quali idee coincidono esattamente con la terza ipotesi? La discriminazione si può fare considerando le conseguenze sull'etica: se penso che lo stesso "io" che ora sento come "individuale" è esattamente quello che ogni altro essere vivente sente come "suo", allora sono spinto ad avere una solidarietà generalizzata che non esclude nessuno. "Io" sono anche tutti i bambini che muoiono di fame, "io" sono anche ogni animale, ogni cane bastonato in ogni angolo della terra, senza la possibilità di sfuggire alcun destino. L'unica possibilità che ho, è fare la mia parte perché il mondo diventi un po' migliore. Certamente ho anche il diritto di assaporare le comodità e i piaceri che ho l'opportunità di godere, ma nella misura in cui me lo consente la consapevolezza di fare ogni giorno qualcosa di utile anche per chi è meno fortunato. Però, per le stesse considerazioni, anche nei momenti difficili posso evitare di logorarmi nella disperazione o in una competitività esasperata: avrò ancora innumerevoli opportunità, e se so aver fatto del mio meglio, posso accontentarmi di quello che sono riuscito ad ottenere. Le nostre condizioni di vita qui sulla terra, sono il risultato di quanto siamo riusciti a fare finora. Il nostro progresso ha degli aspetti entusiasmanti, ma oggi abbiamo tanti problemi che devono essere risolti con urgenza, ed alcuni richiedono un cambiamento di mentalità globale che non è facile immaginare. La nostra specie umana risulterà abbastanza evoluta per sopravvivere senza una catastrofe? Non sappiamo neanche se siamo ancora in tempo utile per evitarla. Il mio impegno nello scrivere queste pagine, mettendo alla prova la vostra pazienza, rappresenta mio contributo personale per continare a nutrire questa speranza.
29/01/2010 14:25:22iacopoFORUM NEOMONOPSICHISMO - DALL'IO AL MONDO REALE Completo la descrizione della mia proposta esponendo alcuni aspetti che permettono di definirla in modo più preciso. Capisco che per tutti coloro che non la condividono anch'essi rappresentano delle inutili fantasie, ma almeno potranno avanzare le loro critiche senza basarsi su preconcetti sbagliati. Un esempio efficace per spiegare bene l'idea fondamentale di questa ipotesi è quella di paragonare il nostro mondo ad un film in cui, grazie ad un trucco cinematografico, tutti i ruoli sono interpretati dallo stesso attore, così bravo ad immedesimarsi in ogni personaggio senza far mai trasparire alcuna caratteristica personale. Questo significa che escludo l'esistenza di alcuna informazione incorporata in questo "io condiviso": non è qualcosa che può manifestarsi al di fuori di una delle comuni "vite terrene", è solo una "proprietà di percezione" che la materia manifesta nelle strutture sufficientemente complesse, come ad esempio negli uomini, ma anche negli animali, e forse si potrebbe arrivare fino alla singola cellula. Considerare la mente come una proprietà che emerge della materia è una tesi già esistente e ampiamente condivisa: l'unica affermazione che aggiungo è che la sua interpretazione dal punto di vista soggettivo deve tradursi nel riconoscimento che il soggetto che sperimenta la percezione è sempre lo stesso "io" che ognuno sperimenta come "suo". Per questo, invece di riferirsi a un "io" condiviso, è più adeguato riferirsi a una "io-ità", che si manifesta identica in ogni "soggetto di percezione". Nelle righe che seguono uso il termine "io" per praticità di esposizione, ma va ricordato che ritengo concettualmente sbagliata la sua "personalizzazione" come entità indipendente dalle vite in cui si manifesta. Il mio atteggiamento è volutamente "minimalista", pertanto evito di prendere posizioni su problemi che anche se sono collegati a quello della coscienza non risultano fondamentali per la mia ipotesi, come sul limite di complessità necessario per definire "vivente" una struttura fisica, o sull'esistenza del libero arbitrio, anche se l'esempio del film con un unico attore può far pensare che sia impossibile. La difficoltà di concepire come un solo attore possa non solo recitare, ma anche improvvisare durante una rappresentazione in cui interpreta tutti i personaggi, è legata alla nostra necessità di immaginare le sue interpretazioni come eseguite "una dopo l'altra". Non abbiamo problemi a immaginare che con un abile montaggio si possa realizzare un film con un solo attore, ma non riusciamo a concepire come allo stesso modo potrebbe essere realizzato anche uno spettacolo di improvvisazione teatrale. Lo stesso problema si pone anche quando si cerca di considerare la "sequenza delle nostre vite": se il mio stesso "io" sperimenta anche tutte le vite degli altri, quali sono le vite che ho già vissuto? quale è la mia prossima vita? Nella metafora dell'attore, la scena rappresenta l'intero spazio-tempo in cui le nostre vite si svolgono, e non siamo autorizzati a presumere l'esistenza di un "tempo assoluto" in cui esse possano essere ordinate. Se si tratta di una rappresentazione cinematografica, l'ordine in cui l'attore recita le singole parti del film, poi sovrapposte in fase di montaggio, è ininfluente, e non può essere dedotto semplicemente guardando il film: così anche la "sequenza delle nostre vite" non può essere dedotta da alcuna informazione rintracciabile nel nostro mondo fisico. Dobbiamo considerare il problema come espressione della nostra necessità di immaginare gli eventi secondo un ordine temporale. Credo che sia pertinente un'analogia con il famoso "esperimento della doppia fenditura", la cui descrizione è disponibile su wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Esperimento_della_doppia_fenditura), in cui non è ammesso chiedersi quale percorso preciso segua ogni elettrone dalla sua emissione alla sua rilevazione sullo schermo finale, possiamo solo prendere atto che esso risulta influenzato dalla presenza di entrambe le fenditure. Infine, è necessario fare una netta distinzione dal solipsismo, per il quale l'esistenza degli altri non può essere dimostrata, e dunque considera la vita come un'illusione individuale senza una vera realtà, come se tutti gli altri esseri viventi fossero robot senza una vera consapevolezza. Ritengo questo punto di vista ingenuo e nocivo. Mi limito ad osservare che già soltanto il riconoscere le difficoltà che dobbiamo affrontare quotidianamente rende impossibile negare l'esistenza di una "volontà" in contrapposizione con la nostra. Secondo la mia proposta, essa si identifica con le diverse manifestazioni del mio stesso "io", ma poiché ogni caratteristica fisica e mentale è definita completamente dalla struttura fisica in cui si manifesta, è inevitabile che ogni volta esprima una volontà diversa, non fosse altro per l'istinto di sopravvivenza individuale. Se siamo disposti a riconoscere un "principio di equivalenza", per cui la nostra "vita attuale" non ha alcuna caratteristica "speciale" in confronto a qualsiasi altra vita, dobbiamo escludere anche la possibilità che l'"io" possa in qualche modo "scegliere" di vivere solo alcune vite, o abbia la possibilità di ripetere a piacere l'esperienza di una vita particolare, come non siamo autorizzati a presumere alcuna consapevolezza possibile al di fuori di una vita fisica "normale". Però da questo principio di equivalenza si può dedurre che tutte le vite che interagiscono in uno stesso spazio-tempo devono essere considerate come parte di un'"unità di sperimentazione" che l'"io" deve sperimentare in blocco, senza eccezioni. Questo è ciò che distingue un'esperienza "reale" da un sogno o un'allucinazione: il fatto che l'"io" debba rivivere quella stessa esperienza dai diversi punti di vista di tutti gli esseri viventi che vi partecipano.
22/01/2010 16:18:49iacopoFORUM NEOMONOPSICHISMO - IL PROBLEMA DEL POSSESSORE DI BIGLIETTO Il problema con la presunta pluralità degli "io individuali", è che finché penso che tutti gli altri abbiano un "io" diverso dal mio, devo riconoscere che anche la persona che è stata generata in seguito all'insieme dei fatti fisici che da cui sono nato, avrebbe potuto benissimo essere associata a un ulteriore "io" diverso dal mio, mentre il mio "io" poteva rimanere "inutilizzato" per sempre. In questa visione, in pratica rappresento "l'opportunità di nascere" come una lotteria in cui il fortunato possessore del biglietto estratto ha la sua "occasione di vivere". Parlando con persone atee, mi sono reso conto che praticamente tutti affidano la spiegazione della propria nascita alla considerazione che, secondo questo modello, effettuando un numero sufficientemente alto di estrazioni, "presto o tardi" verrà per ognuno il proprio turno di nascere. Questo ragionamento è insufficiente. Innanzitutto, dal punto di vista matematico, non c'è concettualmente nulla che impedisca a due "io" diversi di condividere un numero anche infinito di caratteristiche individuali uguali; e questo ci autorizza ad applicare loro il procedimento di diagonalizzazione di Cantor, che impedisce di attribuire all'insieme di tutti i possibili "io" la stessa cardinalità dei numeri naturali, e dunque ci impedisce anche di avere ragionevoli speranze di nascere in seguito ad un numero sia pure infinito di "estrazioni" successive. Si potrebbero immaginare scappatoie matematiche postulando che anche tutti i possibili universi possano avere la stessa cardinalità dell'insieme degli "io", ma esiste un problema più profondo che impedisce comunque di arrivare a una risposta soddisfacente. Infatti questo tipo di ragionamento presuppone implicitamente il privilegio che comunque il mio "io" sia "per definizione" il titolare di un'opportunità di nascere, ovvero, secondo la metafora della lotteria, il "proprietario di un biglietto che può essere estratto". Questo privilegio precede quello di "nascere effettivamente", ne è anzi il necessario presupposto, ma anche se si giudica "infima ma non nulla" la possibilità di "essere estratti per vivere", non c'è alcuna speranza di poter neanche immaginare le condizioni per essere un "possessore di un biglietto" (che esso possa essere estratto oppure no). Il problema è che l'esistenza di un numero transfinito di altri "io", ci costringe a riconoscere la "non necessità" della nostra esistenza individuale, mentre l'evidenza stessa della nostra esistenza effettiva ci constringe a riconoscere che l'insieme di tutti gli "io" possibili non sarebbe risultato esaustivo senza la nostra umile presenza. Non so se la forza di questo argomento risulta evidente. A volte penso che l'intuizione della sua ineludibilità ci possa colpire come una specie di illuminazione mistica dopo aver meditato a lungo sul problema, immaginando di rigirare tra le mani il biglietto della "lotteria della vita", chiedendosi perché lo si possieda, e quanto grande debba essere il privilegio, ancor prima di essere un vincitore della lotteria, di essere un semplice detentore di biglietto. Solo accettando di presupporre che l'"io" sia una entità unica per tutti gli esseri viventi, il biglietto diventa inutile e svanisce tra le vostre mani. Ogni alternativa ci obbliga a credere che, rimestando sufficientemente a lungo in un sacchetto vuoto, se ne possa "presto o tardi" tirar fuori la nostra anima.
15/01/2010 14:43:50iacopoFORUM NEOMONOPSICHISMO - INTRODUZIONE Il problema che ha dato lo spunto iniziale alle considerazioni che propongo, è quello espresso dalla domanda "perché esisto?" o meglio,dalla sua versione più inquietante: "potevo non esistere?". Finché si continua a ragionare sulle nostre esistenze in termini di anime o menti individuali, non è possibile trovare ragioni veramente convincenti che conducano ad una risposta non elusiva, che cioè non ricorra a escamotage del tipo "esiste una volontà superiore che mi ha voluto", oppure l'equivalente "sono stato beneficiario di un caso assolutamente straordinario", o il rassegnato "ci sono misteri che sono inevitabilmente al di fuori della nostra possibilità di comprensione". Malgrado l'apparente inutilità di continuare a rovellarsi su questi temi antichi quanto l'umanità, ho continuato ad insistitere tenendomi saldo a poche linee guida che ho assunto come irrinunciabili: - la convinzione (o la scommessa) che il mistero dell'esistenza individuale sia indagabile con la ragione umana - il rifiuto di ammettere di essere beneficiario di un privilegio esclusivo, sia esso dato dal caso o da una volontà superiore - la fiducia nell'esistenza effettiva delle vite degli altri, che comporta il rifiuto del solipsismo - la rinuncia a qualsiasi tesi che richieda condizioni che la scienza moderna giudicherebbe inammissibili Continuando caparbiamente a considerare ogni ipotesi che non fosse in conflitto questi principi, sono arrivato forse più per caso che per necessità ad una soluzione che ha degli aspetti inediti, e che ha richiesto una revisione del concetto di "mente individuale" o di "anima individuale", in favore di un più astratto concetto di "proprietà di consapevolezza", o come ho preferito chiamarlo, di "io-ità", ossia quel "sentimento di essere io" che ognuno di noi sperimenta in modo individuale, pensando di essere titolare di una propria mente individuale. Va subito chiarita la differenza fondamentale con altre metafisiche simili: secondo la mia proposta, ognuno deve considerare ogni altro essere vivente come una diversa esperienza sperimentata dallo stesso "io" che egli "sente di essere", malgrado tutte le nostre differenze caratteriali, malgrado il fatto che le nostre vite si svolgano nello stesso tempo fisico, e senza alcuna discriminazione basata su presunti meriti o demeriti di ciascuno di noi. Incontrare ogni altro essere vivente è come incontrare se stessi come eravamo ieri o come saremo domani. In questo modo, non c'è alcun bisogno di introdurre un concetto di "io superiore" verso cui i nostri singoli "io" potrebbero convergere se ci comportiamo correttamente, e che ognuno però dovrebbe raggiungere individualmente. Queste caratteristiche innovative giustificano la mia proposta di denominare "neomonopsichismo" questa metafisica, ma forse qualcuno potrà suggerire un nome più adatto. Questa è in estrema sintesi, la rivoluzione concettuale che è necessario compiere per formulare l'unica risposta definitiva alla domanda iniziale "potevo non esistere?". Nei prossimi interventi cercherò di esporre il filo dei ragionamenti che mi hanno condotto a questa conclusione.
24/12/2009 15:43:04iacopoUNA MORALE PRAGMATICA E NON RELATIVISTA Alla fine, questa idea porta ad una morale che coincide con quella pragmatica degli atei che credono nella scienza e che hanno una cultura per cui sono in grado di capire che rinunciare a qualche vantaggio personale per il bene della comunità può essere meglio che approfittare senza scrupoli di ogni occasione, anche se crediamo che dopo la morte non ci sia proprio niente. In un certo senso, è così anche per la mia teoria: se tu rinasci nei panni di un'altra persona e non hai nessun ricordo delle tue esperienze precedenti, che differenza fa pensare che hai già vissuto oppure no? Ma il sospetto che questa possibilità potrebbe essere vera, dovrebbe indurre anche i più spregiudicati ad adottare dei comportamenti un po' più altruisti. Finché penso che io sparirò nel nulla, o sono destinato a una infinita permanenza in un limbo fuori da questo mondo, i problemi dell'ecologia, ad esempio, mi preoccupano solo per il tempo della mia vita rimanante. Ma se penso che tornerò qui e continuerò a tornare nei panni di ogni persona che nasce, forse mi viene voglia di darmi un po' di più da fare, visto che sconterò di persona tutti i danni che faccio, e se c'è il rischio che la Terra possa diventare davvero inospitale, sono indotto a considerare che sarebbe un vero peccato buttare tutti questi millenni di crescita della civiltà solo per una ingordigia egoistica di qualche vita condotta in modo incosciente. Ecco, se mi faccio carico di parlare con gli altri di questa idea, è perché spero che possa essere utile al bene di tutti.
24/12/2009 15:42:45iacopoL'INNOVAZIONE FONDAMENTALE Nel neomonopsichismo, non esiste un traguardo che io posso raggiungere prima di te: non esistono tanti "spiriti" che poi si fonderanno in uno solo: esiste un solo "spirito" o "anima" che non ha alcuna caratteristica individuale (e per questo preferisco chiamarlo "io-ità"), che percorre tutte le possibili vite, e non ha una meta finale, se non quella di migliorare il mondo che ci ospita, in modo da passare il più piacevolmente possibile le vite che si svolgono nel futuro rispetto a quelle che si svolgono adesso. Non esiste (o comunque cambia poco se esiste o no) uno stato di consapevolezza suprema: è più importante capire che dobbiamo percorrere con tutti i nostri sforzi la strada che conduce al miglioramento complessivo della qualità di tutte le nostre vite qui sulla Terra, non in un limbo ideale che può raggiungere solo chi è particolarmente illuminato o sapiente o "in grazia di Dio".
24/12/2009 15:42:32iacopo IL PREGIUDIZIO ELITARIO In tutte queste idee, è possibile sperimentare una o più vite e poi, se siamo stati molto corretti e sapienti, possiamo accedere ad uno stato di unione con Dio o chi per esso, ed essere un tutt'uno con lui e anche fra noi. La morale è che dobbiamo cercare di affinare le nostre vite, in vista di quel traguardo. Quando si incontra un'altra persona, dovremmo cercare di stimolare anche in lei questa ricerca, perché così potrà liberarsi come si spera farò anch'io. Se incontro qualcuno che non è in grado di elevare il proprio spirito, posso dispiacermente, ma alla fine posso pensare che lui avrà bisogno di sperimentare ancora tante vite per liberarsi, mentre io spero di riuscire a farlo, se non subito, con un numero minore di vite.
24/12/2009 15:42:05iacopoLE IDEE STORICAMENTE PRECEDENTI Il neomonopsichismo può essere facilmente accostato ad alcune idee filosofiche e religione orientali e occidentali, o anche a idee "new age" come il culto di "Gea". La dottrina orientale che gli si avvicina maggiormente è l'induismo monista di Adi Shankara, che invita ad una ricerca individuale di introspezione per riconoscere che l'Atman, ossia l'"io" individuale, coincide con il "Brahman", ossia l'assoluto nella sua completezza, e la divisione è solo illusoria. Tuttavia, anche nei mistici cristiani occidentali l'esperienza più alta dell'estasi coincideva nel sentirsi un tutt'uno con Dio. Il monopsichismo di Averroé e di Sigieri di Brabante presupponeva che l'intelletto possibile fosse uno solo, e fosse una peculiarità degli uomini esserne partecipi, insieme ad un'anima individuale che però era considerata mortale. Il libro di Aldous Huxley "La filosofia perenne" paragona queste idee e ne individua i tratti comuni, che sono simili alla terza ipotesi. Ma c'è una differenza molto importante.
15/11/2009 11:51:35iacopo UNA "GIUSTIZIA" SENZA GIUDICI Oltre al presunto ruolo di "aiuto per i giusti", Dio ha tradizionalmente anche il ruolo di Giudice che elargisce premi e punizioni. Dal mio punto di vista, se "io" sono anche tutti gli altri, non c'è bisogno neanche di un simile Giudice: in questo modello, sono sempre "io" che sconto in prima persona tutti i miei errori, e quindi in questo ipotetico processo dovrei essere insieme il colpevole, la parte lesa, ed anche il giudice. Però, proprio per questo, dovrei sentirmi spinto a contribuire con le mie possibilità - siano esse grandi o piccole - a migliorare il mondo intorno a me, perché sarà proprio questo stesso mondo che ritroverò, tornando qui come "io" di tutti gli altri esseri viventi che mi circondano. Così, anche vivere una situazione particolarmente difficile deve essere colta come un'opportunità di dimostrare come sia sempre possibile continuare a migliorarsi ed aiutare gli altri a farlo. Io credo che non possa esistere un modello metafisico migliore di questo, sia dal punto di vista della "spiegazione razionale", che dal punto di vista delle "conseguenze etiche".
15/11/2009 11:51:18iacopoLA QUESTIONE DI DIO Se prendo questo per buono, la questione di Dio si trasforma in una diversa questione, ossia se sia possibile sperare in un "aiuto soprannaturale" nelle mie vicende personali, soprattutto se sono buone e meritevoli. Infatti, non posso escludere che l'unica "io-ità" possa sperimentare, oltre alle tantissime vite "normali" come la mia e la tua, anche una vita di "livello superiore" in cui potrebbe avere il potere di intervenire per volgere nel modo migliore alcune delle nostre vicende. Temo però che i fatti dimostrino in tante occasioni che questi "interventi" sono nella migliore delle ipotesi solo eventi occasionali, e dire che ciò possa essere giustificato da una nostra incapacità di vedere le motivazioni di Dio, equivale ad affermare che non possiamo mai sperare di prevedere se Dio ci aiuterà solo perché una nostra azione ci sembra buona e meritevole. Questo si traduce semplicemente nel gioco di affermare che "Dio è dalla nostra parte" quando riusciamo, e dire che "le motivazioni di Dio non ci sono accessibili" quando non riusciamo: è chiaro che questo non dimostra nulla.
15/11/2009 11:50:59iacopo IL PROBLEMA DEL POSSESSORE DI BIGLIETTO Questo ragionamento secondo me è insufficiente, ma non può essere risolto neanche da nessuna visione non-atea: non è una questione che riguarda Dio, ma solo il mio "io", e non fa alcuna differenza presupporre di essere frutto del caso o di una precisa volontà di Dio: il privilegio che comunque presuppone questo modello, con o senza Dio, è che il mio "io" sia "per definizione" un "proprietario di biglietto che può essere estratto". Questo privilegio precede quello di "nascere effettivamente", ne è anzi il necessario presupposto, ma anche se si giudica "infima ma non nulla" la possibilità di "essere estratti per vivere", non c'è alcuna speranza di poter calcolare la probabilità di "essere uno dei possessori" di un biglietto (che possa essere estratto oppure no). Questo è il vero mistero dell'"io", e sono convinto che può essere risolto solo presupponendo che l'"io", o come preferisco chiamarla, la "io-ità", sia una essenza unica per tutti i viventi, e che dunque dovremmo considerare gli altri, tutti gli altri esseri viventi, come diverse espressioni della nostra stessa "io-ità", oppure, per esprimermi in termini più banali ma più immediatamente comprensibili, come "diverse reincarnazioni" dell'unica anima che "ora" mi trovo ad essere io, e per questo credo che sia "solo mia".
15/11/2009 11:50:28iacopoIL PARADIGMA DELLA LOTTERIA Nelle mie considerazioni metafisiche, sono partito da un punto di vista ateo "tradizionale", ponendo in primo piano il mistero dell'esistenza dell'"io", e poi in subordine mi sono posto il problema dell'esistenza di "Dio" (o meglio, di come l'idea di Dio dovrebbe cambiare in conseguenza alle conclusioni proposte). Il fatto che il mio o il tuo "io" esista è un'evidenza assolutamente innegabile, ma il punto che riempie di mistero questa esistenza è come essa possa essere risultata "collegata" all'insieme di fatti fisici da cui è stata generata. Intendo dire che finché penso che tutti gli altri abbiano un "io" diverso dal mio, non esiste alcun motivo logico per cui anche la persona che è nata in seguito alle circostanze che mi hanno generato, non potrebbe essere stata associata a un ulteriore "io" diverso dal mio, mentre il mio "io" poteva rimanere "non estratto" per sempre. In questa visione, in pratica rappresento "l'opportunità di nascere" come una lotteria in cui il fortunato possessore del biglietto estratto ha la sua occasione di "vivere". Parlando con persone atee, mi sono reso conto che praticamente tutti affidano la spiegazione della nostra nascita alla considerazione che, secondo questo modello, se vengono effettuate un numero sufficientemente alto di estrazioni, "presto o tardi" verrà per ognuno il proprio turno di nascere.
02/11/2009 15:29:31iacopoNEOMONOPSICHISMO: COSA NON È E ASSUNZIONE DI BASE La prima cosa da avere chiara è che il neomonopsichismo non è un'idea di tipo mistico e neanche panteistica, almeno non nel senso tradizionalmente inteso: le sue basi poggiano su una visione atea e laica della realtà, ma in seguito ad una critica che svela ed affronta come certi presupposti di quella visione debbano oggi essere ritenuti ingenui, arriva ad una conclusione che non mette in discussione la visione atea e laica in sé, ma la rifonda usando sempre considerazioni di tipo ateo e laico, che riescono infine non solo a superare la debolezza intrinseca dei precedenti presupposti, ma anche a controbattere con forza alle accuse di "relativismo" ed al pericolo del "nichilismo" che sono utilizzate in modo ricorrente contro l'attuale visione atea e laica della società. La mia ambizione maggiore è quella di rendere evidente come questa nuova visione rappresenti il modello che spiega l'enigma della nostra esistenza individuale con un'unica assunzione di partenza: la "io-ità" è una, ed è la stessa per tutti i possibili esseri viventi. Per quanto possa sembrare assurda, questa è la visione meno ingenua che possiamo avere della nostra esistenza.

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