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papo La terza ipotesi
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Riduzione all'Open Individualism

Come arrivare ad una nuova versione di monopsichismo ragionando in modo riduzionista

di Iacopo Vettori - Dicembre 2017

Il tempo esterno e i tempi soggettivi

38. Daniel Kolak in I Am You definisce la Teoria della Individualità Aperta (Open Individualism) come quella che sostiene che l’identità personale sia sempre la stessa per ogni essere cosciente. Le conclusioni sono le stesse quando noi riteniamo che l’identità personale sia illusoria e che il fenomeno della soggettività sia un fenomeno non numerabile, anche se questo stesso fenomeno si manifesta contemporaneamente in una moltitudine di individui distinti. Dalle critiche al concetto di identità, si deduce che ogni occorrenza del fenomeno non può essere considerata in possesso di una differente identità, perché questa identità non può essere ben definita. Si consideri che anche differenti istanti di tempo nel corso della vita di un individuo possono ugualmente essere considerate come diverse occorrenze del fenomeno della soggettività. Questo ci può aiutare a capire che non è necessario introdurre una differenza di identità tra le diverse occorrenze di questo fenomeno.

39. Il maggiore ostacolo nell’accettare l’Open Individualism è che esso richiede una nuova concezione del tempo. Nell’ultimo secolo, la fisica ha già rivisto e modificato il concetto del tempo, e quindi anche in filosofia è necessario abbandonare il concetto di tempo assoluto, fornendo una ragionevole proposta alternativa che possa spiegare meglio i fenomeni che discutiamo.

40. L’Opern Individualism richiede un concetto di un tempo soggettivo collegato a ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività, e uno spaziotempo esterno che deve essere concepito come il contenitore di tutte le storie che sono accadute o che accadranno in questo mondo.

41. Nota: Anche se questo argomento è lontano dalle mie competenze, voglio segnalare che un collegamento tra il tempo soggettivo e l’attività cerebrale potrebbe già avere qualche riscontro scientifico. Riguardo al cervello, diversi autori indagano sul possibile ruolo della fisica quantistica nella relazione tra mente e cervello. Ad esempio, il filosofo David Pearce suggerisce che potrebbe essere basata sul fenomeno della correlazione quantistica (entanglement) (è possibile leggere la sua tesi sul fisicalismo non materialista al suo sito web http://www.physicalism.com/). Anche Roger Penrose, in collaborazione con Stuart Hameroff, ha avanzato una proposta simile. Riguardo al tempo, alcuni esperimenti hanno mostrato come il tempo possa essere il risultato dell’entrare in correlazione quantistica con un sistema fisico già esistente (vedere l’articolo al sito https://medium.com/thephysics-arxiv-blog/quantum-experiment-shows-how-time-emerges-from-entanglement-d5d3dc850933, dove è fornito anche un link al documento originale).

42. Un buon modello per comprendere l’idea dello spazio-tempo esterno, è la concezione eternalista proposta da Julian Barbour nel suo libro La fine del tempo (The End of Time), pubblicato dalla Oxford University Press nel 1999 e nella traduzione italiana da Einaudi nel 2003. In breve, il suo modello considera l’intero insieme di tutte le possibili configurazioni del mondo come esistenti in modo statico. Il tempo esterno non sarebbe qualcosa che scorre, ma dovrebbe e ssere considerato come la proprietà che permette di ordinare cronologicamente due stati del mondo, quando si confrontano l’uno con l’altro.

43. La mente, o il fenomeno della soggettività, può apparire in alcune regioni speciali del mondo (in modo specifico, quelle che per noi rappresentano le configurazioni di istanti successivi del cervello) dove è possibile costruire una sequenza di stati cerebrali che la funzione di soggettività è in grado di trasformare in una sequenza di stati mentali, dando origine sia alla mente corrispondente (o alla corrispondente occorrenza del fenomeno della soggettività), sia al tempo soggettivo che quella mente percepisce in scorrimento. Il fatto che ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività incorpori un proprio tempo soggettivo, libera il nostro modello concettuale dalla necessità di assegnare differenti identità ad ognuna di queste occorrenze. La semplice osservazione che due individui coesistono nello stesso intervallo temporale non è più un motivo sufficiente per presumere che le loro menti debbano avere due diverse identità numeriche.

44. Possiamo immaginare due successioni di stati cerebrali in due regioni vicine dello spazio-tempo. Le due successioni sono entrambe trasformate dalla funzione soggettività in due successioni di stati mentali, ciascuna delle quali dà origine al corrispondente tempo soggettivo del fenomeno della soggettività. Dal punto di vista eternalista, non ha alcuna importanza se questi due eventi sono sperimentati come simultanei da qualche osservatore o no. Non ha senso dire che uno dei due tempi soggettivi è stato creato prima o dopo l’altro, né che essi scorrono contemporaneamente oppure no. Non è possibile dare un ordine temporale ai due tempi soggettivi all’interno di un tempo di livello superiore che scorre al di sopra del quadro di riferimento eternalista. Il tempo esterno, nell’ambito concettuale eternalista, può essere utile per ordinare le date di nascita di due individui, ma è inutile se cerchiamo di sapere se la funzione della soggettività è stata applicata a una certa sequenza di stati cerebrali “prima” o “dopo” un’altra sequenza di stati cerebrali. Ognuna di queste applicazioni genera un proprio tempo soggettivo indipendente dagli altri, e non è possibile ordinare tra loro questi tempi soggettivi per formarne uno solo di lunghezza maggiore. Non esiste niente di fisico che possa permetterci di collegare la fine dello scorrere di un tempo soggettivo con l’inizio dello scorrere di un altro: sono solo punti di discontinuità dove la funzione di soggettività inizia o termina, ma pensare che dopo essere stata applicata a una successione di stati cerebrali completa, essa si sposta per iniziare ad applicarsi ad un’altra successione di stati cerebrali, presume un tempo di livello superiore che non è né il tempo soggettivo generato durante la sua azione, né il tempo esterno che non scorre ma permette di ordinare due stati successivi tra loro. Questo tempo “di livello superiore”, che equivale al concetto di tempo assoluto, non è previsto e non è ammesso: e anche se questa mancanza può apparire come un limite, è proprio ciò di cui abbiamo bisogno per considerare l’Open Individualism come un’alternativa percorribile. La mancanza di un tempo assoluto libera infatti il modello dalla necessità di assegnare un’identità separata a ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività, e quindi dalla necessità di trovare qualcosa che permetta di distinguere ciascuna delle sue occorrenze che interagiscono in regioni vicine dello spazio tempo, in altre parole di distinguere tra loro le nostre identità personali. Poiché non abbiamo alcun bisogno di assegnare un’identità specifica al fenomeno della soggettività, il concetto di identità può essere abbandonato in quanto illusorio anche quando si applica alle persone.

45. Quando un cervello funzionante si suddivide in due (o più, se fosse possibile) cervelli funzionanti, il tempo soggettivo associato al fenomeno della soggettività si suddivide in rami diversi, consentendo allo stesso fenomeno della soggettività di seguire indifferentemente tutti i percorsi. Lo stesso accade quando due (o più) cervelli funzionanti si fondono in un solo cervello funzionante più grande. In questo caso, tutti i corrispondenti tempi soggettivi convergono in uno stesso tempo soggettivo che esiste per quanto dura la fusione, poi l’unico tempo soggettivo si suddivide di nuovo in percorsi multipli. Non abbiamo bisogno di chiederci “chi” stia seguendo uno o l’altro percorso: il soggetto che segue tutti i percorsi è sempre lo stesso fenomeno della soggettività. Non è necessario interrogarsi se questo fenomeno avvenga in un percorso “prima” o “dopo” rispetto ad un altro; all’interno del quadro eternalista, tutti i percorsi coesistono allo stesso modo.

46. Si può pensare che l’Eternalismo sia una teoria che richiede il determinismo, perché presenta l’universo come qualcosa di statico, simile a una pila ordinata di tutti i fotogrammi di una pellicola cinematografica. In realtà è possibile complicare il modello considerando tutti i possibili stati fisici dell’universo, e tutti i possibili modi di disporli in sequenza rispettando le regole della fisica. Questo, in estrema sintesi, corrisponde al modello proposto da Julian Barbour, ma anche a una generalizzazione all’interpretazione di Everett della fisica quantistica, dove il collasso di una funzione d’onda è interpretata come la selezione di un solo universo tra tutti i possibili universi differenti che rappresentano le possibili continuazioni dell’universo esistente nell’istante precedente. Considerando il modello proposto dall’Open Individualism, possiamo supporre che anche il fenomeno della soggettività possa suddividersi in ogni istante continuando ad essere presente in ogni possibile alternativa, generando un numero corrispondente di tempi soggettivi.

47. Inoltre, è possibile che anche due stati del mondo che sono differenti possano convergere in uno stesso stato successivo, se entrambi hanno tutte le caratteristiche fisiche compatibili per rappresentare un possibile stato precedente dello stesso stato. Questo accade in fenomeni come gli esperimenti di cancellazione quantistica. Teoricamente, è anche possibile che esistano stati che possono rappresentare sia uno stato precedente che uno successivo ad un altro stato, in modo da rendere impossibile stabilire in modo assolutamente univoco il loro possibile ordinamento nel tempo, malgrado il fatto che la direzione del tempo risulti quasi certamente definita da considerazioni probabilistiche. Nonostante questo, ciò che noi percepiamo soggettivamente è sempre un singolo tempo soggettivo, anche se esso si suddivide continuamente per seguire tutti i nostri possibili stati futuri, e si ricongiunge continuamente provenendo da tutti i nostri possibili stati passati compatibili con il nostro stato presente. Questo complicato intreccio rappresenta il nostro tempo soggettivo personale in un mondo non determinista. Senza contare che osservando gli altri esseri viventi, sappiamo che nelle nostre immediate vicinanze dello spazio-tempo coesistono insieme a noi innumerevoli altre manifestazioni del fenomeno della soggettività, di cui riusciamo a immaginare i corrispondenti tempi soggettivi che ci appaiono scorrere contemporaneamente al nostro, e quindi come se fossero inaccessibili alla nostra esperienza diretta.

48. Questa concezione trasforma il mondo lineare di un universo deterministico in un multiverso labirintico dove i possibili percorsi di tutti i possibili universi si intersecano continuamente tra loro, rendendo la nostra vita attuale solo una variazione di tutte le possibili vite alternative che avremmo potuto sperimentare se le cose fossero andate diversamente in qualche istante passato. Questa concezione lascia aperta anche la possibilità dell’esistenza di un effettivo libero arbitrio, come vedremo in maggior dettaglio in una delle note conclusive.

49. Ad un primo giudizio, può sembrare che l'Open Individualism neghi necessariamente la possibilità del libero arbitrio, e che sia possibile solo in un mondo determinista. Se accetto l’idea che in qualche modo mi troverò a vivere in prima persona la vita di qualsiasi individuo con cui interagisco, allora sono portato a pensare che in quel momento sarò costretto ad agire esattamente come adesso vedo che egli si sta comportando. Se sto dialogando con un’altra persona, possiamo entrambi decidere liberamente lo sviluppo futuro del nostro dialogo, ma se immagino di ritrovarmi a vivere lo stesso dialogo dal punto di vista del mio interlocutore, mi sembra che dovrò necessariamente replicare il dialogo usando le stesse parole che adesso sento pronunciare da lui. Questo ragionamento è sbagliato se teniamo presente che il tempo esterno non scorre e che il nostro futuro comune è il risultato di tutte e scelte che il fenomeno della soggettività esegue in differenti tempi soggettivi che non sono ordinabili tra loro. Nella concezione eternalista, solo i nostri tempi soggettivi scorrono attraverso la struttura dello spaziotempo. Così, quando mi troverò a sperimentare lo stesso dialogo dal punto di vista dell’altro interlocutore, non si tratterà di un tempo che “segue” o “precede” quello che sto sperimentando adesso, ma sarà sempre la stessa precisa circostanza dello stesso spaziotempo che mi troverò a influenzare con la stessa sensazione di novità e potenzialità che sperimento adesso. È possibile intuire la situazione secondo l’Open Individualism, se si pensa nuovamente all’esperimento della temporanea divisione del cervello. In quel caso, è più facile immaginare che entrambe le menti corrispondenti ai due emisferi possano esprimere un genuino libero arbitrio, sebbene rappresentino anch’esse due esperienze separate del fenomeno della soggettività. I due tempi soggettivi corrispondenti alle due menti separate sono entrambi diramazioni dello stesso tempo soggettivo che scorreva prima della divisione, e che sarà di nuovo riunificato dopo il loro successivo ricongiungimento; a quel punto sapremo che entrambe le esperienze separate si troveranno nel nostro passato soggettivo, ma sarà sempre impossibile dire se l’esperienza della metà di sinistra sia stata sperimentata prima o dopo l’esperienza della metà di destra. Gli eventi possono essere ordinati nello spaziotempo statico dell’eternalismo, ma non si possono ordinare i tempi soggettivi di due vite separate.

50. Per la stessa ragione, è impossibile dire se mi ritroverò a vivere la vita di un’altra persona prima o dopo la mia vita attuale. Malgrado il nostro bisogno di ordinare ogni evento nel tempo, la domanda “quale sarà la mia prossima vita?” non ha una risposta. Una vita può essere considerata come una sequenza completa di stati cerebrali adatta ad essere processata dalla funzione della soggettività, ordinati dal primo all’ultimo secondo i criteri del tempo esterno in un quadro eternalista. Se questa sequenza non ha punti di singolarità (punti di divisione o di fusione), il fenomeno della soggettività e il tempo soggettivo corrispondente possono fluire senza ostacoli fino all’ultimo stato cerebrale valido della sequenza. Ma dopo la morte non esistono tempi soggettivi che possano portare il fenomeno della soggettività al punto di inizio di un altro tempo soggettivo. Questa è un’immagine che ci creiamo perché non sappiamo immaginare come i diversi tempi soggettivi possano esistere senza metterli in fila uno dietro l’altro. In ogni istante ci troviamo sempre in qualche punto di qualche tempo soggettivo, e siamo portati a pensare che essi si debbano sempre susseguire uno dopo l’altro in un ordine preciso.

51. Derek Parfit chiama “questioni vuote” (“empty questions”) le domande che non possono avere risposta, anche se disponiamo di tutte le informazioni fisiche che le riguardano. Questa definizione può essere applicata anche al problema della sequenza delle vite sperimentate dal fenomeno della soggettività. In effetti, Parfit non si pone questo problema, ma applica la definizione al problema del decidere se l’identità personale può essere ritenuta la stessa dopo un certo numero di cambiamenti. Secondo la concezione di Parfit, rientrano in questa categoria tutti i problemi che riguardano degli aspetti puramente soggettivi che non hanno una controparte fisica. Così anche il problema della sequenza delle vite può indurci in errore facendoci immaginare il fenomeno della soggettività come un fantasma che può andare avanti o indietro nel tempo tra una vita e l’altra. Questa descrizione può essere adatta per far capire il concetto di Open Individualism in modo banale, ma non è una descrizione corretta, perché il fenomeno della soggettività non esiste al di fuori di una controparte fisica che ne permette l’esistenza. Considerare bene il problema dell’esperimento della divisione temporanea del cervello può aiutarci a raggiungere una concezione meno ingenua. Il concetto di questione vuota può essere applicato anche in questo caso: una volta che i due emisferi si siano ricongiunti, sono questioni vuote tutte le domande del tipo: “Ero la mente originata dall’emisfero sinistro? O ero quella originata dall’emisfero destro? O entrambe? Ma allora, ho vissuto prima l’esperienza di essere l’emisfero sinistro o quella di essere l’emisfero destro?”. Si può capire facilmente che in questo caso non ci sia risposta al problema di come ordinare tra loro i due tempi soggettivi generati dalle due metà del cervello separate, perché non esiste alcun indizio fisico da cui dedurre l’informazione necessaria per rispondere: si tratta di una questione vuota. Per questo, dobbiamo concludere che in generale sia impossibile determinare la sequenza in cui la funzione della soggettività sperimenta due percorsi distinti tra loro: ordinare gli eventi nel tempo è una necessità che abbiamo nella nostra vita quotidiana, ma non esistono informazioni fisiche che ci permettano di dare un ordine alla sperimentazione di due diversi tempi soggettivi.

52. È importante osservare che in ogni caso la teoria dell’identità personale dell’Open Individualism propone un modello che corrisponde con l’esperienza pratica che abbiamo nella nostra vita quotidiana, e che oltre a questo, può dare una risposta a molti problemi che altrimenti sembrano difficili da risolvere o privi di spiegazioni plausibili. È facile fraintendere l’Open Individualism e classificarlo superficialmente come una teoria dualista o che implica una connessione mistica tra tutti gli esseri viventi. In realtà, l’unica connessione proposta consiste nel considerare il fenomeno della soggettività, l’esperienza di percepire il mondo da un punto di vista soggettivo in prima persona, come numericamente sempre la stessa, quella che ognuno di noi sperimenta in prima persona, malgrado la nostra erronea convinzione che ogni altra persona abbia una propria occorrenza specifica dello stesso fenomeno. Abbandonare il concetto di identità significa che ciascuna occorrenza del fenomeno della soggettività non può avere una differente identità numerica, e che dunque il soggetto che sperimenta dal punto di vista in prima persona tutti questi flussi di stati mentali deve essere considerato ogni volta come il fenomeno della soggettività vero e proprio, nonostante il fatto che esso possa manifestarsi in molti cervelli e corpi separati nello stesso momento del tempo esterno.

53. Parlare del fenomeno della soggettività in questi termini, può far pensare che sia possibile assegnargli un ruolo speciale o addirittura divino, ma non è così: basta considerare semplicemente la nostra esperienza diretta di essere uno sperimentatore in prima persona del mondo, che è esattamente ciò che chiamo il fenomeno della soggettività, e che poi generalizzo eliminando il fattore contingente della nostra esperienza particolare. Così facendo, non aggiungo alcun potere o conoscenza speciale, né alcuna concezione mistica.

54. Tutto questo ci fornisce un modello completo che anche senza un argomento definitivo in suo favore, ha una coerenza interna e offre delle risposte semplici a molti problemi sulla mente, come sarà descritto più avanti in questo documento. Questo dovrebbe essere sufficiente per considerarlo meritevole di attenzione per tutti gli studiosi di identità personale e dei problemi ad essa collegati.  

 

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